La c.d .”Fase Due” per il contenimento del covid-19 decisa dal Governo segue l’impostazione della Fase precedente.
Siamo ancora, con deprecabile continuità, di fronte ad una sorta di “dispotismo amministrativo” che “consente” e “permette” ai cittadini l’esercizio di fondamentali diritti di libertà garantiti dalla Costituzione disegnandone i confini e le modalità di attuazione.
E ’stata introdotta una fitta rete di regole, minuziose, metodiche, intrusive, spesso oscure e contraddittorie, frammentate in una minuziosa casistica, generate da provvedimenti amministrativi che spaziano dagli innumerevoli decreti del Presidente del Consiglio alle non meno numerose ordinanze delle Regioni e dei Comuni, dalle ordinanze commissariali della Protezione Civile, alle circolari esplicative dei Ministeri attraverso le quali è arduo per il cittadino orientarsi anche perché Regioni e Comuni con i propri provvedimenti amministrativi, che hanno il medesimo rango nella gerarchia delle fonti dei decreti governativi, regolano diversamente le attività, i limiti e i comportamenti imposti dal Governo.
Questo fitto reticolo normativo spazia dall’uso delle mascherine all’intrusione nella sfera personale, pretendendo di regolare le occasioni di socialità, i funerali, le cerimonie religiose, la frequentazione dei parchi pubblici, le ragioni e le necessità degli spostamenti e financo gli incontri con soggetti quali i congiunti che, sfuggendo ad una precisa definizione giuridica, sono individuati in base ad un’eteronoma quanto arbitraria gradazione della stabilità del legame affettivo.
Quello assunto dal Governo è un “modus operandi” illiberale, con intento pedagogico, paterno e tutelare, ma né mite né benevolo perché, intriso della sfiducia nel civismo dei cittadini, della loro capacità di una partecipazione responsabile e di una consapevole autodeterminazione, è caratterizzato da una bulimia di controllo colpevolizzante, da prescrizioni e sanzioni.
Questo armamentario normativo è l’espressione di un Governo paternalistico, di un virus che può essere letale per la democrazia liberale, che modellando giuridicamente i cittadini, ha lo scopo, paventato già da de Tocqueville, di togliere ai cittadini “anche la fatica di vivere e di pensare”, limitandone l’impiego del libero arbitrio e della volontà.
La coscienza liberale rifiuta che in nome della “salus populi” si sospendano le garanzie costituzionali. La Carta repubblicana non conosce lo stato di emergenza che possa marginalizzare il Parlamento il quale in una democrazia liberale è “lo specchio del popolo”, e “non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali”, come ha avvertito la presidente della Corte Costituzionale.
Invece, ignorando la riserva rinforzata di legge prevista dalla Costituzione, è stata incisa la libertà di circolazione e di soggiorno limitandola selettivamente per categorie di persone e non “in via generale” come prevede la Costituzione ed eguale trattamento è stato riservato alla libertà di riunione, affidando, a nostro avviso indebitamente mediante una delega “extra ordinem” ad atti amministrativi quali sono i decreti del Presidente del Consiglio non soggetti al vaglio parlamentare, compiti normativi di tipo primario.
I liberali sono consapevoli che il contenuto dei diritti fondamentali come quelli di libertà non è illimitato e non può essere tutelato in termini assoluti potendo essere sottoposto a limiti e bilanciato con altri valori di pari rango. Tuttavia ciò deve avvenire attraverso la complessa struttura normativa articolata e gerarchica dettata dalla Costituzione.
L’ossequio alla Costituzione non è un orpello formalistico ritardante l’adeguamento della disciplina normativa all’andamento della pandemia, come è presentato dalla conformistica “vulgata ” della stampa e degli “esperti” da talk show. La democrazia non può funzionare se non trova nel liberalismo un sistema di regole volte alla protezione costituzionale dei fondamentali diritti di libertà del singolo cittadino che non esprimono un individualismo asociale ma, al contrario, sono il presupposto per la dotazione di pari libertà per tutta la collettività.
IL riemergente sovranismo sposato ad un populismo senza storia e memoria, con un’identità provvisoria e cedevole alle mutevoli suggestioni di immediati vantaggi elettorali, può favorire la degenerazione paternalistica dello Stato consegnando i cittadini, di fronte ad un legislatore onnipotente, ad una condizione di libertà “vigilata” che rischia di divenire la nuova normalità.
Professore ordinario, della cattedra di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della Libera Università per gli studi sociali Guido Carli – LUISS – di Roma. Componente del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.