Ciascun partito utilizza gli strumenti decisionali (parlare di “democrazia”, in certi casi, è decisamente esagerato) che preferisce. Se c’è chi crede che votare on line, utilizzando una piattaforma proprietà d’altri, abbia un senso è una trasparenza buon o mal per lui. Trattasi di atto di fede, come tale non sindacabile. Posto ciò, il responso 5 Stelle suggerisce due considerazioni.
La prima è relativa alla correttezza istituzionale. Il punto non è che sia giusto o meno attendere l’esito dell’oracolo digitale, ma che se da quello deve dipendere la decisione di fare o meno un governo con il Pd la ragionevolezza, la buona creanza e l’onestà intellettuale impongono che la consultazione avvenga prima di andare a dare questa indicazione al presidente della Repubblica. Non dopo, alla vigilia della chiusura, avendo cincischiato su questioni a dir poco imbarazzanti.
La seconda considerazione è legata alla prima: avendo scelto questa tempistica il voto on line è diventato un regolamento di conti interno. Hanno votato su sé stessi, non sul governo per l’Italia. Quel che conta sono i vertici e l’erede Casaleggio s’è trovato a sostenere una tesi diversa da quella di Grillo, che del Movimento non è stato l’inventore, ma certamente il principale e decisivo interprete. Gli altri sono dei figuranti. Gli argomenti che hanno usato delle figuracce.
L’esito è noto: ha vinto il governativismo. Surreale tentazione, per chi non sa governare. Con il 79%, nella migliore tradizione plebiscitaria. La gestione trasformista dell’intera vicenda, a cominciare dalla figura più direttamente politica del Movimento, ovvero il non politico prof. Conte, ha impedito di darle un qualche significato più ampio. Del tipo: siamo il partito di maggioranza relativa, senza di noi non si può governare, usiamo la nostra forza per piegare gli alleati, posto che non ne abbiamo di fissi e lo avevamo detto anche prima. Troppo impegnati nel duello interno per riuscire a vedere il terreno esterno.
In quanto a noi tutti: se ne deve penare, gioire o spallucciare? Il punto è uno solo: Salvini aveva perso la testa, reclamava i pieni poteri, ha fatto cadere il governo e s’è subito messo a dire: a. che doveva rinascere; b. che si tratta di una manovra delle forze oscure della reazione internazionale in agguato. Ove fosse vera la seconda lui ne sarebbe l’agente, mentre la prima è il noto tentativo di rimettere il dentifricio nel tubetto. Da lui, due giorni dopo avere chiesto e ottenuto la fiducia, è partito tutto. È comprensibile che altre forze abbiano colto l’occasione per approfittarne. Ma non è che, il nuovo che riavanza, per tenere incollato il risultato possa tassare o scassare l’Italia, né è ammissibile che continui la condotta fin qui seguita, ovvero proclamare delle cose e fare l’esatto contrario. Sarebbe trasformismo senza trasformazione, una pagliacciata senza manco la risata.
Giornalista e scrittore.
Dal 1979 in poi, mentre continuava a crescere il numero dei tossicodipendenti, si è trovato al fianco di Vincenzo Muccioli, con il quale ha collaborato, nella battaglia contro la droga.
Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana.
Dal luglio1981 al novembre 1982 è stato Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dal 1987 all’aprile 1991 è stato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, che ha assistito nell’elaborazione dei disegni di legge per la regolamentazione del sistema radio-televisivo, per il riassetto delle telecomunicazioni e per la riforma del ministero delle Poste e Telecomunicazioni, oltre che nei rapporti internazionali e nel corso delle riunioni del Consiglio dei Ministri d’Europa.
È stato consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.
Dal 2003 al 2005 presidente del DiGi Club, associazione delle Radio digitali.
Nel 2008 riceve, dal Congresso della Repubblica di San Marino, l’incarico quale consulente per il riassetto del settore telecomunicazioni e per predisporre le necessarie riforme in quel settore.
Nel maggio del 2010 ha ricevuto l’incarico di presiedere l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’innovazione, dipendente dalla presidenza del Consiglio. Nel corso di tale attività ha avuto un grande successo “Italia degli Innovatori”, che ha permesso a molte imprese italiane di accedere al mercato cinese. Con le autorità di quel Paese, crea tre centri di scambio: tecnologia, design, e-government. Nel novembre del 2011 si è dimesso da tale incarico, suggerendo al governo di chiudere la parte improduttiva dell’Agenzia, anche eliminando le sovrapposizioni con altri enti e agenzie.
Dal 2015 al 2016 è membro dell’Advisory Board di British Telecom Italia.