Perché gli intellettuali non amano il liberalismo? Corrado Ocone, riprendendo alcune considerazioni di Roberto Esposito su La Repubblica – “Cosa spinge i maggiori intellettuali novecenteschi o a costeggiare il fascismo o ad abbracciare il comunismo?” – ha notato che il liberalismo, anche dopo il fallimento storico dei totalitarismi, riscuote poche simpatie culturali e gli intellettuali, ancora loro, hanno in odio il capitalismo, la democrazia rappresentativa, la proprietà privata, la borghesia (alla quale appartengono) vale a dire tutte quelle istituzioni che non solo sono legate al liberalismo ma hanno creato anche il mondo in cui viviamo e sono alla base della libertà.
Dunque, tra intellettuali e liberalismo e, ancora meglio, tra intellettuali e libertà c’è contrapposizione? Sarei tentato dal dire sì ma meglio argomentare. I motivi dell’antipatia degli intellettuali per il liberalismo sono vari ma qui ne indico tre.
1) Gli intellettuali amano il potere, mentre il liberalismo viene al mondo per limitare il potere. L’ambizione degli intellettuali non è quella di limitare il potere bensì quella di potenziarlo.
Nel Novecento gli intellettuali hanno seguito questa strada diventando consiglieri del potere in nome e per conto della verità e della scienza riuscendo così a tradire la verità ed a corrompere il potere.
Sono diventati qualunque cosa: consiglieri, ministri, rettori, ideologi, propagandisti. Hanno fatto di tutto tranne ciò che avrebbero dovuto fare: criticare il potere – qualunque potere, anche quello della verità – e limitarlo per difendere la libertà.
2) Gli intellettuali sono vanitosi e superbi e credono che la verità sia in loro possesso e attraverso il possesso della verità si sentono autorizzati a legittimare qualunque nefandezza: rivoluzioni – che in realtà sono colpi di Stato -, dittature, totalitarismi, razzismi, stermini di massa, odio di classe.
Per gli intellettuali che posseggono la verità, infatti, le nefandezze non sono così malvagie e sono semplicemente il prezzo da pagare per la realizzazione della verità e la trasformazione del male in bene.
Detto in due parole: gli intellettuali grazie alla verità che ritengono di possedere e il patto che stringono con il potere vogliono instaurare né più né meno che una dittatura degli intellettuali quale in fondo è sempre stato il partito di Lenin e il pensiero comunista di Gramsci.
3) Gli intellettuali, chi più chi meno, sono figli del marxismo. Prima del marxismo gli intellettuali non esistevano e c’erano i letterati. È significativo che Antonio Labriola – il primo serio marxista italiano – si rivolga a Croce, in una lettera, dandogli del letterato disimpegnato e Croce, da par suo, risponda con ironia dicendo “lasciatemi fare il letterato”. I marxisti, invece, non possono essere letterati perché hanno scoperto nientemeno come va il mondo e lo hanno fatto sulla base di quella che poi sarà chiamata la “teoria del sospetto”.
In pratica, consiste in questo: si sospetta che la democrazia rappresentativa, il capitalismo, la proprietà privata, i mezzi di produzione siano delle truffe mascherate dalla cultura della borghesia che copre tutto con la sua falsa coscienza.
Il marxismo si presenta come un’operazione verità, una pratica di smascheramento ma per farlo crea il più grande mascheramento ideologico che mai sia stato concepito e così il manifesto del partito comunista invece di liberare gli operai diventa, nel più infelice dei contrappassi, la falsa coscienza del proletariato.
Ma questa coscienza è così falsa che quando è smascherata automaticamente si ri-maschera dicendo che i suoi critici sono dei traditori e dei nemici del popolo – che gli stessi intellettuali odiano – e così la falsa coscienza è sempre salva dagli errori e dalle falsificazioni. È per sua natura infalsificabile. Una specie di Dio in terra ma senza Dio.
Cambiate i secoli, i nomi, i giornali, gli articoli, cambiate tutto ciò che va cambiato e alla fine scoprirete di essere ancora lì dove qualcuno – gli intellettuali, che poi sarebbero professori, politici, giornalisti, sociologi, scienziati – sulla base di un malinteso concetto di verità crede di aver risolto quello che Marx chiamava l’enigma della storia e su quella scorta, trovato un gancio – che è un partito che si impossessa dello Stato o con la forza o con il voto -, ritiene che sia giunto il momento di imporre agli altri legittimamente e per il loro stesso bene verità, giustizia, eguaglianza.
La odierna dittatura del cosiddetto “politicamente corretto”, che è sempre politicamente corrotto, nasce qui e viene da lontano. È il solito integralismo culturale adeguato ai tempi della comunicazione di massa in cui le stesse masse con cretina superbia intellettuale e moralismo di quart’ordine si fanno volontariamente schiave.
Noi viviamo tempi in cui questo meccanismo infernale è ancora perfettamente attivo e a volte mi stupisco che le nostre libertà siano ancora in piedi e la nostra vita ancora in vita.
Perché gli intellettuali, che sono ormai tutto un mondo di cretini che arma il proprio carnefice, alla fin fine odiano la vita e sono così risentiti verso la vita da immaginare anche processi alla storia e ai morti impancandosi su un tribunale storico che nemmeno Dio, che pur conosce tutto ciò che accade nei nostri visceri e reni, ha riservato a sé stesso.
L’unica verità che conta è quella di non farsi troppo governare dagli altri, soprattutto dagli intellettuali che odiano la nostra libertà da letterati.